Angelo Benedetti (Umbertide PG 1964) diplomato in Clarinetto
presso il Conservatorio di Perugia consegue presso lo stesso istituto,
sotto la guida del M° Luigi Ceccarelli, il diploma Musica Elettronica e in
seguito Diploma Accademico di II livello in Discipline Musicali indirizzo
Tecnologico-Orientamento compositivo. Ancora studente è assistente del M°
Ceccarelli e partecipa a Ravenna Festival, Festival di Sant’Arcangelo, Biennale
Teatro Musica e Danza di Venezia, Festival internacional de danza Maracaibo e
Festival intern. di danza Tallin.
Dal 2003 si dedica alla composizione di musica elettronica e
ha al suo attivo musica per radiodrammi(Rai Radio3), pieces teatrali, per la
danza, installazioni audiovisive e per strumento con live electronics; suoi
lavori sono stati selezionati ed eseguiti presso importanti associazioni e
festivals tra i quali: radioCEMAT, Festival des Musiques et Crèations
Electroniques di Bourges, EMUfest di Roma, New York University, SaxOpen di
Strasburgo, Festival dei due modi Spoleto. Si dedica frequente alla regia del
suono in concerti di musiche sue e di altri autori con importanti esecutori.
Si occupa di Sound Design e ha al suo attivo numerose
sonorizzazioni di pieces radiofoniche per Radio Rai3, molti lavori teatrali e
multimediali.
Si interessa di registrazione, editing e mastering per la
musica classica, contemporanea e operistica e tiene corsi sulle tecniche di
ripresa e montaggio audio.
Ha tenuto corsi sulle nuove tecnologie applicate alla
musica, all’Accademia di belle arti di Rimini e di Perugia dove è al momento
docente del corso di Sound Design.
Tiene corsi di informatica musicale all’ ISSM G. Lettimi di
Rimini ed è docente esterno di Composizione audiovisiva integrata al
Conservatorio di Cuneo. È titolare di una cattedra di Composizione Musicale
Elettroacustica e capo del dipartimento Musica e nuove tecnologie presso il
Conservatorio F.Morlacchi di Perugia.
www.angelobenedetti.net
Ho raggiunto il professor. Angelo Benedetti al conservatorio
Morlacchi di Perugia, che mi ha, con estrema disponibilità, raccontato e spiegato
molti aspetti del suo lavoro e dei luoghi in cui si svolgono le attività di
musica, concedendomi moltissimi spunti e accortezze per il progetto. Lo
ringrazio vivamente per l’interesse dimostrato.
INTERVISTA
[Parlando dei problemi acustici nelle scuole di musica]
A: Ho avuto la fortuna a
Cuneo di poter interagire con i progettisti quando hanno fatto la nuova
sede dicendo a noi quel locale servirà a questo, quest’altro locale a quest’altro,
e di conseguenza si è posta attenzione all’orientamento dei locali, isolamento,
distribuzione ecc. Hanno fatto ottime sale di registrazione, con attenzione alle
dimensioni, impianti elettrici, tutto in funzione della nuova destinazione
d’uso con un ottimo risultato.
[mi ha gentilmente fornito una pianta del conservatorio di
Cuneo]
[Riguardo al conservatorio Morlacchi]
M: Quanti studenti ne fruiscono contemporaneamente?
A: Contemporaneamente pochi, la maggior parte delle
lezioni sono frontali o a piccoli gruppi, però ci sono alcune lezioni a gruppi
e questo è un po' scomodo, avremmo sempre bisogno di proiezioni adeguate, nelle
aule di elettroacustica abbiamo bisogno di operare con cablaggi, smontaggi di
tutte le apparecchiature in continuazioni perché non è uno studio di
registrazione in cui tutto quanto è fisso. Bisogna imparare a montarle e
smontarle. Servono degli spazi dove si possa accedere facilmente a tutto.
[Inizia a sentirsi il suono di un pianoforte proveniente da
un’altra aula]
A: Ecco la testimonianza del problema acustico! Sono
strutture vecchie, a cui è stata cambiata
la destinazione d’uso, non c’era l’idea dell’insonorizzazione di nessun
tipo.
Sulle specifiche che mancano penso a coloro che suonano strumenti gravi,
questi hanno forme d’onda rilevanti, per cui nei locali troppo grandi si
innescano onde stazionarie. Quindi non hai idea di che suono hai, percepisci il
tuo suono più quello della stanza. E’ un disastro perché non è controllabile.
Ci sono aule che reagiscono in una certa maniera ed altre che reagiscono
diversamente. Io
predico sempre che bisogna adattarsi a quello che si ha perché poi devi fare un
concerto in una chiesa o in un capannone devi cercare di farlo funzionare
uguale, quindi non è così importante. E’ anche vero che se rimbomba troppo è un
problema per tutti.
[rigurardo allo studio di elettroacustica in cui ci
troviamo]
M: Quindi la cubatura delle aule non deve essere ne troppo
grande ne troppo piccola. Potremmo dire che l’aula in cui ci troviamo sia
adeguata alla sua funzione?
A: Intanto è sbagliata la cubatura: dovrebbe essere 2x1x3
come proporzioni. Però per farlo veramente funzionare bene ad esempio gli
angoli andrebbero tutti strombati, la porta andrebbe cambiata, la
pavimentazione e le pareti dovrebbero essere in grado di assorbire il suono.
M: Lei è diplomato in clarinetto, anche io ho studiato
clarinetto e sono passato al Sassofono. Mi ha incuriosito il suo passaggio da
questo alla musica elettronica, all’elettroacustica.
A: Questo negli anni ’90 era un bellissimo posto, io ero uno
studente di Clarinetto, e a differenza di oggi c’era un’atmosfera incredibile.
Ti incontravi con tutti gli altri ragazzi, organizzavi gruppi, nascevano in continuazione
gruppi di musica da camera, contemporanea. C’erano dei grandi docenti,
anche e soprattutto di musica
contemporanea, e a me è capitato di suonare tantissima musica contemporanea. In
quegli anni nasceva la Ambient con Bryan Eno e altri. Non era come adesso che
la conoscono tutti, dovevi fare ricerca. Siccome l’ambiente MODIFICA I TUOI
ATTEGGIAMENTI, TI CONDIZIONA, noi eravamo sempre alla ricerca di qualcosa di
nuovo. La musica elettronica in quegli anni poteva essere studiata da coloro
che provenivano da qualsiasi strumento, mentre prima era destinata solamente al seguito dei 4 anni di composizione.
Proprio con i miei amici con i quali suonavo, un altro clarinettista e chitarrista e un flautista compositore ci siamo tutti iscritti al corso di musica elettronica. Considera che qui non c’era niente, solamente un registratore e si lavorava con i nastri (come negli anni ’50). Il mio primo lavoro l’ho fatto con questo [mostra un nastro] era un pezzo di Steve Wright, New York pointer point, un pezzo per clarinetti e sovraincisione di clarinetti.
Proprio con i miei amici con i quali suonavo, un altro clarinettista e chitarrista e un flautista compositore ci siamo tutti iscritti al corso di musica elettronica. Considera che qui non c’era niente, solamente un registratore e si lavorava con i nastri (come negli anni ’50). Il mio primo lavoro l’ho fatto con questo [mostra un nastro] era un pezzo di Steve Wright, New York pointer point, un pezzo per clarinetti e sovraincisione di clarinetti.
M: Il concerto di musica contemporanea ed elettronica del
Movement Torino Music Festival si è aggiudicato il primo posto nella classifica
dei concerti con il maggior numero di ingressi nel 2016. La musica elettronica
oggi riscuote un grande successo, a volte anche a prescindere dalla qualità.
Lei è stato tra i primi ad arrivarci.
A: Adesso si, quando abbiamo
cominciato noi era l’avanguardia dell’avangurdia. La musica
contemporanea alla sua massima espressione (poco meno di una setta, eravamo
proprio messi così). Devo dire che la diffusione dell’elettronica si deve
soprattutto al commerciale, in cui, come sempre accade, la tecnologia è
diventata a disposizione di tutti. Il limite grosso che abbiamo incontrato noi
era proprio il costo eccessivo dell’apparecchiatura. Era costoso e non facevi
quello che fai con Garage Band oggi. C’è una facilità di diffusione perché
costa poco metterla a disposizione di tutti.
E’ chiaro che ha generato anche delle storture, ma è il prezzo che devi
pagare. Le storture sono che adesso tutti quanti fanno i producer. Ma gli si deve anche molto, se tu consideri
che negli anni ’90 eravamo in 6 a studiare musica elettronica, e di quei 6 ci
siamo diplomati in 4. Oggi qua sono 23, l’anno prossimo ci sarà la terza
cattedra di musica elettronica.
M: E quindi anche necessità di spazio, strutture sempre più
adeguate.
A: Esatto, appunto si deve ai DJ, ai producer ecc. Perché
usiamo la stessa identica tecnologia, stessi software, stessi macchine, stessa
cosa. La differenza la fa la cultura musicale che ci sta dietro, il background
musicale di ognuno. Se hai un background classico farai musica elettronica di
ricerca. Un po' come chi studia il sassofono o il Clarinetto, c’è chi si suona
il Bolero di Ravel e ci fa il liscio col
sassofono.
Tutto questo ha fatto si che si sia sviluppata la ricerca, ma soprattutto
POSTI DI LAVORO.
ADESSO QUESTO E’ L’UNICO INSEGNAMENTO CHE GENERA LAVORO.
M: Quindi secondo lei è azzeccata la scelta che ho fatto nel
progetto, per la destinazione d’uso?
A: Per alcuni anni si, perché poi come tutte le cose si
saturerà, io credo che per i prossimi 10 anni ci sarà sicuramente un
incremento, poi ci sarà un calo perché aumenteranno le aspettative. Ancora
l’insegnamento ne sta assorbendo tanto, un po' meno il mondo del lavoro, ancora
ci sono professionalità che non sono state sviluppate, so che stanno facendo a
Tor Vergata qualcosa del genere. NON C’E’ UNA VERA SCUOLA DI SOUND DESIGN IN
ITALIA, ABBIAMO A CHE FARE CON UNA PROFESSIONE CHE IN ITALIA ANCORA NON ESISTE.
M: Questo mi rincuora molto perché la direzione in cui cerco
di andare è proprio quella dell’innovazione, purtroppo impieghiamo sempre un po' troppo ad assorbire
le novità, ad esempio a Londra o Berlino sono molto più avanti in questo senso.
A: All’estero ho mandato parecchi studenti in giro, anche il
materiale che trovi viene soprattutto dall’Inghilterra,
li ci sono anche scuole per musica per film. In Italia abbiamo due premi oscar
ma non una scuola per musica per film, è assurdo però è così. Non c’è uno standard, si lascia tutta
l’iniziativa a quel singolo, meraviglioso. Il parallelo tipico è quello
dell’orchestra, avevamo ed abbiamo i più grandi direttori del mondo ma non le
orchestre. In conservatorio non studiano per diventare un’orchestra, ma per
diventare solisti. NON C’E’ UNA SCUOLA PER ORCHESTRA.
M: Lei ha lavorato per Rai 3, di cosa si occupava per loro?
A: Per rai 3 ho fatto tanto Sound Design quando non si chiamava Sound Design, te lo
sbolognavano perché non lo voleva fare nessuno, si chiamavano effetti, dovevi
fare gli effetti sonori che prima facevano a mano. Prima muoveva la tazzina,
camminavano con la ghiaia, c’era il
rumorista. Ho scritto anche musica per i radiodrammi, però poca perché
purtroppo i soldi finiscono e finisce la festa. Adesso si chiama sound design.
M: Sono molto interessato al Jazz, a questo mondo qui.
A: Questa adesso sta diventando un’ottima scuola di Jazz,
cominciano ad esserci insegnanti specifici per ogni strumento, prima ce n’era
uno per tutti.
M: Qui la cultura del Jazz non muore mai.
A: Qua in Umbria, poi a Perugia, non puoi non fare il
Jazz.
M: E che ne pensa del connubio tra il Jazz e la musica
Elettronica?
A: Io ho sperimentato questa cosa in un concerto a Venezia
(li ho insegnato per un anno), con il
mio collega Arrigoni che è pianista, ed è venuta una cosa molto bella perché
esiste la figura dell’improvvisazione elettronica con l’interprete elettronico.
I miei ragazzi studiano anche questo. O solo con l’interprete elettronico o
anche con l’interprete tradizionale (il Sassofonista ecc.) e l’interazione è
molto bella, però non è facile. Quando il jazzista capisce che il mezzo
elettronico amplifica a dismisura le possibilità che ha se è bravo ne fa delle
meraviglie. Come se da uno strumento ne avresti 100 o più. D’altro canto se non
sono bravi questa cosa sconfinata è incontrollabile. E’ come un cavallo di
razza, un purosangue, da il meglio di se se ci sale sopra qualcuno che è
capace, devi saperlo dominare. ESSERE CAPACE VUOL DIRE AVERE L’ABITUDINE A
FARLO. Il mondo del Jazz è molto autarchico e conservatore per cui non è facile
M: Però ha sempre assorbito molte influenze diverse da
diversi generi musicali.
A: Tanto, io ho fatto l’apertura del Torino Jazz festival
con due jazzisti e l’improvvisazione
elettronica. Però devi prendere due jazzisti che hanno già sperimentato
l’interpretazione più libera, free jazz, un po' svincolati dagli standard.
M: A livello di scuola se queste due cose fossero già
impostate per stare insieme, per imparare a dominare questo rapporto, cosa accadrebbe?
A: Io critico sempre molto chi ha pensato il conservatorio
ed i programmi perché hanno fatto questa riforma per i conservatori, facendoli
diventare Università, ma non gli ordini di scuole precedenti, quindi hai fatto
il massimo ma poi sotto non c’è niente, adesso stanno cercando di recuperare
con i licei ma siamo ancora lontani anni luce.
Però in quel caso chi ha pensato alla nostra organizzazione è stato
illuminante, perché IL DIPARTIMENTO DI MUSICA ELETTRONICA E’ INSIEME A QUELLO
DI JAZZ, E’ UN UNICO DIPARTIMENTO, QUINDI QUELLO CHE DICI, IN TEORIA, DOVREBBE
ESSERE REALIZZATO. Io qua sono il capo del dipartimento di musica elettronica e
l’insegnante di Jazz è un mio amico, abbiamo deciso di fare qualcosa insieme.
Poi sono le persone che devono attuare le cose e se dovessimo far funzionare il
dipartimento dovremmo fare proprio quello che dici, DOVREMMO TROVARE UN PUNTO
DI INCONTRO.
M: E quale è il punto di incontro?
A: L’improvvisazione!
M: Giustamente è così, invece a livello di strutture cosa
sarebbe necessario per questo?
A: La musica elettronica si basa su tre cose: i suoni
generati direttamente dal computer, elaborazione di uno strumento che sta
suonando live, prendere un qualsiasi suono registrarlo ed elaborarlo. Tu hai
bisogno di materiale sonoro non per forza di pezzi interi, melodie o brani. A
volte hai bisogno proprio del suono di ogni tipo. A volte ti devi generare
anche il materiale sonoro e poi lo organizzi. Quindi il rapporto con i
musicisti c’è, classici o ancora di più con i jazzisti, perché c’è questa parte
della performance live, che nel mondo classico si è persa. La toccata era l’improvvisazione che l’organista faceva
per dare la tonalità ai cori, lo studiano anche, ma è talmente ridotta a una
cosa accademica che praticamente non esiste più. IL PROBLEMA PIU’ GROSSO E’ NON
AVERE UN CONTINUO RAPPORTO CON ALTRI STUDENTI.
[…..]
Quello che manca è una collaborazione più stretta.
M: E come si può favorire questa collaborazione?
A: Forse c’è dietro un non definitivo passaggio alle logiche
di un’istruzione un pochino più moderna, intanto il conservatorio è molto
conservatorio e poco università, io farei volentieri un semestre per
concentrare le lezioni, c’è un po' di confusione.
M: Forse le persone andrebbero stimolate in qualche modo.
A: E’ tanta fatica, in Italia c’è una burocrazia che ti
uccide, io ho passato la mattinata col direttore amministrativo per comprare
delle cose sul mercato elettronico, la macchina stato è veramente obsoleta e
dura da muovere. E’ ancora più complicata delle persone, perché dove ci sono
funzionari e responsabili capaci di assumersi le responsabilità le cose
funzionano. Chi è preposto a decidere decida. Per comprare un microfono che costa
100 euro ci mettiamo due mesi. Poi,
QUANDO HAI TANTI INSEGNANTI CHE VENGONO DA FUORI E’ CHIARO CHE INCONTRARSI E’
MOLTO DIFFICILE, QUI NON ESISTE IL DOCENTE CHE RIGENERA IL POSTO IN CUI LAVORA
ANCHE SE NON E’ CASA SUA, PERO’ PER CINQUE MESI VIVE LI PERCHE’ LAVORA LI, E
INVECE SAREBBE UTILE.
M: Questa cosa che dice in qualche modo mi da fiducia nel
mio programma, noi facciamo un progetto che lavora a H24, quindi c’è proprio
una parte destinata al Living.
A: E’ importante perché se tu ti vedi limitatamente allo
spazio della lezione e non hai modo di avere nessun altro contatto è un
problema, io ad esempio ho colleghi che non vedo mai, così è difficile.
Bisognerebbe pensare a una logica diversa degli istituti stessi. Quando ti puoi
fermare a collaborare con gli altri riesci ad ottenere ottimi risultati.
M: Ho capito che per questo settore, soprattutto nel campo
del Sound Design è fondamentale.
A: Venerdì abbiamo fatto una cosa che ti stupirà, tra musica
elettronica e Bach, l’anziano si è difeso benissimo, non sfigurava perché era
tutto di livello molto alto, col clavicembalo, un altoparlante sotto al
clavicembalo (in maniera anche dissacratoria). La classe di Clavicembalo ha
collaborato volentierissimo! Non puoi fare musica da solo, musica è condividere
con gli altri, è il primo social naturale!
[IL PIANOFORTE CONTINUA A SUONARE E IL SUONO E’ MOLTO
PERCEPIBILE NELL’AULA DOVE SIAMO]
M: Tornando al pianoforte che è sotto, immagino che durante
la lezione sia fastidioso. C’è sicuramente bisogno dell’isolamento migliore, ma
ha comunque una risonanza molto forte…
A: Oltre alla bonifica del suono interno della stanza è
importante quanto rumore viene trasferito nei locali dell’intorno. Perché se
questa sala qua è di registrazione la finestra che c’è ora è sicuramente un
problema, così come la porta. Poi tutte le pareti lisce come queste riflettono.
BISOGNA METTERE QUALCOSA CHE ASSORBA L’ONDA SONORA. Ma una cosa fondamentale
che nessuno prende mai in considerazione sono i pavimenti, che fanno sempre un
disastro. Perché sono quelli più vicini all’origine del suono e quello che lo
rovina sono la quantità di prime riflessioni. In realtà la cosa migliore è un
tappeto, che diminuisce il suono a dismisura. Si può fare differenza tra
strumento e strumento, nel senso che se c’è una voce non puoi mettere una
stanza necoica senza nessuna riverberazione, non riesci a cantare, come per un
violino. Quindi Hanno bisogno di una stanza che suoni ma non tanto. Ci sono
strumenti per cui morirebbe il suono e quindi vanno fatte insonorizzazioni ad
hoc. Una cosa ottima da mettere sono LE TENDE, che assorbono molto bene. Altro
discorso è per la fonoimpedenza. L’UNICA SOLUZIONE E’ RICOSTRUITE PARETI IN
CARTONGESSO E RIEMPIRE DI 20-30 cm DI MATERIALE FONOASSORBENTE E SOSPENDERLE
CON LA GOMMA. Altra cosa importante sono porte e finestre. Li non serve tanto
intervenire sulla porta, sarebbe ancora meglio mettere soluzioni anticalore e
una tenda chiusa. Anche in quel caso non è che non passa niente, MEGLIO DUE
PORTE. Ancora meglio, come per i box per batteria, una scatola dentro una
scatola!
M: Quindi non è anche un problema di dislocazione delle aule
stesse?
A: A Cuneo sono intervenuti con una sala di regia di 37 mq,
una sala di registrazione per il jazz ed il pop di 80 mq e dall’altra parte una
sala per la registrazione della musica classica. Tu puoi contemporaneamente
registrare tutti e due. Ci sono due finestre con i doppi vetri, doppi da
entrambi i lati e tutte siliconate. IMMAGINA COME SE FOSSE UNA STANZA PIENA D’ACQUA,
DOVE ESCE L’ACQUA ESCE ANCHE IL SUONO! Questa sala di regia a Cuneo è
meravigliosa. Tutto il cablaggio passa all’interno della parete e tutto arriva
da sotto al centro della stanza. Non è costato neanche un centesimo in più!
Siamo intervenuti prima che facessero i pavimenti, le linee delle luci. Lo
stesso è in regia.
[LEGGENDO LA PIANTA DEL CONSERVATORIO DI CUNEO]
M: E’ un solo piano?
A: Si è un solo piano dove si tengono i corsi di musica
Elettronica, Jazz, Composizione, tutti gli strumenti tradizionali e gli uffici
sono nella sede vecchia. Questo è il secondo piano, in futuro, al primo piano
dovrebbero venire tutti gli strumenti e gli uffici. In più c’è una cosa che
sarebbe veramente geniale che al terzo piano si facesse una foresteria, che non
sarebbe male! In altri conservatori c’è un bar-ristorante funzionante, quella è
un’altra cosa molto comoda!
M: Secondo lei si potrebbe anche settorializzare, lo
strumento a corda, a fiato?
A: LA COSA CHE HO
DETTO STAMATTINA AL DIRETTORE: NON SPENDETE SOLDI PER INSONORIZZARE COSì, NON
HA SENSO, DISTRIBUIAMO MEGLIO GLI INSEGNAMENTI. ANDREBBERO!
Commenti
Posta un commento